A Bologna la mostra “Verità e illusione. Figure in cera del Settecento bolognese”

BOLOGNA – Si configura come primo evento espositivo organicamente incentrato sulla ritrattistica in cera realizzata in ambito bolognese durante il Settecento – secolo che conobbe il maggiore rilancio dell’arte antica e intrigante della ceroplastica già praticata nelle epoche classiche e medievali – la mostra “Verità e illusione. Figure in cera del Settecento bolognese”, che si è aperta il 19 novembre al Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini di Bologna. Qui la mostra sarà allestita sino al 12 marzo 2023 con la curatela di Massimo Medica, Mark Gregory D’Apuzzo, Ilaria Bianchi e Irene Graziani.
Dopo due importanti progetti espositivi che in anni recenti, a Venezia nel 2012 e a Francoforte sul Meno nel 2014, hanno segnato la riscoperta di una produzione ingiustamente dimenticata offrendone nuove chiavi di lettura, la storia di queste effigi artificiose a grandezza naturale dalle possibilità illusionistiche ambiguamente più reali del reale appare ancora oggi in grande parte da scrivere.
Forma artistica scarsamente indagata dal circuito accademico per via dell’antico pregiudizio verso una materia metamorfica considerata priva di valore estetico e una tecnica in bilico tra arte e artigianato, proprio nel capoluogo emiliano, durante il XVIII secolo, la ritrattistica scultorea in cera ebbe un ruolo di primaria importanza godendo di fortuna e apprezzamento come rappresentazione congeniale ad una triplice funzione: la trattazione delle discipline scientifiche avviata nella rinomata scuola di anatomia umana dell’Università, la raffigurazione del potere e la devozione religiosa.
Promossa dai Musei Civici d’Arte Antica di Bologna in collaborazione con il Museo di Palazzo Poggi afferente al Sistema Museale di Ateneo | Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, l’esposizione intende far conoscere al pubblico e rivalutare in una giusta prospettiva l’indubbia qualità di quanto ancora sopravvive di una produzione che, secondo le fonti documentarie, fu assai ricca e vide impegnati abilissimi scultori. A ricondurre con piena dignità questo patrimonio nel clima della gloriosa civiltà figurativa del Settecento bolognese fu lo storico dell’arte Andrea Emiliani, alla cui memoria l’iniziativa è significativamente dedicata, autore nel 1960 di un fondamentale saggio, ora ripubblicato nel catalogo che accompagna la mostra, in cui vi riconobbe una “realizzata unità fra imitazione, anzi super-imitazione del vero, e fantasia ricreante” in grado di evocare “un’allusione sconcertante all’umano”.
A partire dal nucleo di opere conservato al Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini, il progetto espositivo traccia un ampio e dettagliato panorama dell’officina ceroplastica a Bologna riunendo per la prima volta 18 opere, di cui 16 figure in cera e 2 terrecotte, di notevole fattura presenti in raccolte museali ed edifici di culto cittadini, potendo inoltre godere del prestito straordinario di pezzi appartenenti a collezioni private e dunque raramente visibili.
Accanto al Ritratto del conte senatore Paolo Patrizio Zambeccari (1670-1756) di Nicola Toselli esposto unicamente nella Mostra del Settecento Bolognese curata da Guido Zucchini nel 1935 a Palazzo d’Accursio, sono 3 i manufatti inediti visibili per la prima volta: la testa di Cristo in cera policroma, attualmente conservata presso il Museo provinciale dei Cappuccini di Bologna e attribuita a ceroplasta emiliano, e i due busti di San Carlo Borromeo e San Filippo Neri riferibili a Luigi Dardani, provenienti dal coretto della chiesa di Santa Maria di Galliera.
Il rinnovato interesse che la ricognizione si propone di sollevare verso un capitolo della storia dell’arte poco conosciuto al pubblico costituisce dunque un importante momento di aggiornamento degli studi, anche grazie ai restauri conservativi operati in vista dell’evento espositivo, e di nuovi riposizionamenti attributivi in un ambito produttivo storicamente travagliato da incertezze interpretative.
Il percorso espositivo si estende, naturaliter, nella seconda sede del Museo di Palazzo Poggi dove si trova la “Camera della Notomia” dell’Istituto delle Scienze con la serie di otto statue in cera – di cui due nudi raffiguranti Adamo ed Eva, quattro Spellati e due scheletri -, progettate ed eseguite tra il 1742 e il 1751 dal pittore, scultore e architetto Ercole Lelli su commissione del Cardinale Prospero Lorenzo Lambertini, asceso al soglio pontificio nel 1740 con il nome di Benedetto XIV.
In una temperie di rinnovato fervore della vita culturale cittadina per impulso dell’ecclesiastico bolognese, la presenza di una fiorente scuola di studi anatomici favorì l’affermazione di Bologna come capitale della ceroplastica scientifica, con la formazione della prima vera scuola di modellatori in cera. Le prerogative di questa tecnica, tali da imitare la consistenza ed il colorito anche delle membrane più sottili e quasi invisibili, ne fecero, infatti, uno strumento assai efficace per scopi didattici.
L’impegno strettamente connesso al mondo della scienza medica del capostipite della scuola bolognese Ercole Lelli venne in seguito assunto dai celebri coniugi Giovanni Manzolini e Anna Morandi, creatori di decine di preparazioni anatomiche in cera, anch’esse conservate nelle collezioni storiche dell’ateneo bolognese, che diedero un fondamentale contributo all’avanzamento delle conoscenze di anatomia e di fisiologia grazie alla rappresentazione di parti del corpo umano di raffinatezza e minuzia tecnica del tutto straordinari per l’epoca e ammirati in tutta Europa.
Non solo per l’uso empirista guidato dalle prime pulsioni illuministe la città felsinea fu luogo di elezione per la produzione plastica in cera, come già non aveva mancato di rilevare il grande storico dell’arte austriaco Julius von Schlosser nella sua pionieristica Storia del ritratto in cera pubblicata nel 1911, dove ne sottolinea il contesto di “fruttuoso campo di azione nella scultura popolare religiosa”.
Nella Bologna di Papa Benedetto XIV la ceroplastica si ritagliò infatti uno spazio di affermazione più ampio, ponendosi quasi a concorrenza con le altre arti tradizionali (la pittura, la scultura in terracotta), riuscendo a soddisfare le richieste di una committenza sedotta dall’alto potenziale di verosomiglianza garantito dalla modellazione in cera associata ad altri materiali.
Ben compresa dal mondo della scienza, la strabiliante capacità di riproduzione del reale, di assoluta efficacia a fini didattici, si sarebbe infatti rivelata ugualmente strategica nel genere iconografico del ritratto “fra il documentario e l’agiografico”, secondo la definizione di Stefano Tumidei. Costituite da più parti i cui componenti erano ottenuti tramite modelli e calchi, le figure in cera venivano montate su strutture portanti, forme in legno imbottite o addirittura veri scheletri. La cera, miscelata ai diversi colori, veniva colata in sottili strati, rifinita con la stecca e con velature dipinte, quindi verniciata. L’applicazione di capelli, occhi in vetro, accessori metallici e vestiti di stoffe preziose e l’animazione del volto assicuravano risultati di impressionante realismo. L’inserimento entro teche di vetro ne salvaguardava l’integrità, oltre a circoscriverne sapientemente l’ambientazione entro una sorta di scatola scenica.
A inaugurare pubblicamente questa tipologia compositiva è il busto raffigurante Anna Maria Calegari Zucchini (1643-1741), tessitrice di modeste origini e analfabeta che ebbe fama di donna devota e in odore di santità, commissionato allo scultore Angelo Gabriello Piò ma eseguito dall’allievo Filippo Scandellari, che ne rivendicò la paternità dichiarandosi il primo ad aver introdotto a Bologna l’uso di realizzare figure in cera colorata. In questa creazione l’autore riesce a infondere forma sensibile alla profonda dimensione di fede della donna, che ha sopportato con gioia sofferenze e privazioni, incarnando un nuovo modello di santità presentato alla cittadinanza.
Strumento efficace di edificazione, la ceroplastica non solo si prestava perfettamente alla divulgazione di nuovi modelli di venerabilità, ma spesso si poneva al servizio delle devozioni dal carattere maggiormente empatico. Si diffonde infatti anche una produzione di soggetti religiosi (Santa Famiglia, Ecce Homo, Maria Addolorata, santi), e soprattutto di busti a grandezza naturale che raffigurano personaggi dalla condotta di vita esemplare di cui si vuole promuovere il culto, come nel caso del busto di Padre Ercole Maria Giuseppe Isolani di cui è artefice lo stesso Scandellari.
Perfettamente rispondenti ad un’esigenza di aderenza al “vero” e al “vivo”, le figure in cera conquistano anche la dimensione mondana come nel caso dei magnifici ritratti degli aristocratici Francesco e Paolo Patrizio Zambeccari, appartenenti a una delle famiglie più importanti a Bologna per attività collezionistica, modellati, rispettivamente, da Luigi Dardani e Niccolò Toselli. Ma nella rassegna non mancano i borghesi (il ritratto commemorativo dell’architetto Carlo Francesco Dotti attribuito ad Angelo Gabriello Piò) e i “villani” (purtroppo perduti Il Fattore e La Fattoressa di Casa Ghisilieri).
Documentata dalle fonti, ma anche da alcune testimonianze superstiti, anche la “testa di carattere” o “testa d’espressione” è una tipologia affrontata dalla ceroplastica. Se talvolta pare più evidente l’allusione a significati allegorici moraleggianti sottesi alla raffigurazione di semplici “villani”, altre volte la presentazione di giovani di estrazione sociale non agiata sembra priva di ulteriori intenzioni e motivata unicamente dalla volontà di riconoscere il valore morale di un’umanità umile per origini, ma capace di fondare la propria esistenza su valori semplici e onesti. Così sembrerebbero indicare i due fanciulli della Fondazione Cavallini Sgarbi, ancora in cerca della mano dell’autore, che si pongono tuttavia come un corrispettivo delle più brillanti proposte pittoriche avanzate dagli anni Sessanta del Settecento dai talentuosi Ubaldo e Gaetano Gandolfi.
Alcune cere non bolognesi del Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini consentono di estendere lo sguardo sulla ceroplastica europea coeva all’epoca qui considerata.
Dalla Germania provengono il Filosofo morente e il Matematico di Caspar Bernhard Hardy modellatore molto ammirato dai contemporanei, tra cui Johann Wolfgang Goethe. Interessato agli studi di fisiognomica di Johann Caspar Làvater, Hardy raffigura spesso i tipi umani per coppie antitetiche con l’intento di alludere a diverse o opposte qualità morali. Dalla Francia proviene invece il medaglione con Profilo femminile, probabile ritratto della principessa di Lamballe o della regina Marie-Antoinette, eseguito da un ignoto settecentesco verosimilmente negli anni della Rivoluzione francese.
Come suggerisce il titolo, la mostra intende giocare sull’antitesi tra verità e illusione, cioè sull’apparente contrasto fra gli effetti di conturbante iperrealtà da un lato, e l’inganno dei sensi dall’altro, che il virtuosismo mimetico dell’arte della ceroplastica era in grado di procurare allo spettatore come commistione tra immagine e vita. E lo è tuttora, come immutato è il rapporto dell’uomo con la morte e con il divino.
Il progetto espositivo si avvale di un comitato scientifico composto da Massimo Medica, Mark Gregory D’Apuzzo, Roberto Balzani, Ilaria Bianchi, Lucia Corrain, Irene Graziani e Antonella Mampieri.
Il catalogo, a cura di Mark Gregory D’Apuzzo e Massimo Medica, viene pubblicato da Silvana Editoriale e contiene le prefazioni istituzionali di Osvaldo Panaro e Roberto Balzani; i saggi di Andrea Emiliani, Ilaria Bianchi, Lucia Corrain, Antonella Mampieri, Irene Graziani, Massimo Medica, Mark Gregory D’Apuzzo, Laura Speranza, Anna Maria Bertoli Bersotti; le schede critiche e la riproduzione a colori di tutte le opere esposte, comprensiva di una nuova campagna fotografica realizzata da Roberto Serra.
Gli organizzatori della mostra desiderano rivolgere un ringraziamento particolare a Butterfly Trasporti e Oasi Allestimento per il generoso supporto.
Per il prestito delle statue in cera di San Filippo Neri e di San Carlo Borromeo di Luigi Dardani, si ringrazia la Direzione Centrale degli Affari dei Culti e l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno, in qualità di soggetto proprietario.

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Redazione
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