“Alberto Magnelli. Armocromie”: l’omaggio del Museo Novecento di Firenze al maestro dell’astrattismo

FIRENZE – Nell’ambito del progetto di valorizzazione delle opere e degli artisti presenti nelle collezioni civiche fiorentine, il Museo Novecento ospita dall’11 novembre scorso e sino al 15 febbraio 2023 la mostra “Alberto Magnelli. Armocromie”, a cura di Eva Francioli.
La monografica, dedicata al maestro dell’astrattismo internazionale, si inserisce all’interno del ciclo espositivo che, con cadenza regolare, intende delineare dei brevi ritratti di grandi artisti del ventesimo secolo, nell’intento di approfondire specifici aspetti della loro pratica ed episodi meno indagati della loro vita.
“Prosegue l’impegno per la valorizzazione delle collezioni civiche con un focus su un artista nato a Firenze, poi vissuto in Francia, tra i pionieri dell’astrattismo”, sottolinea il vicesindaco e assessore alla Cultura, Alessia Bettini. “La mostra sarà un viaggio nell’universo artistico di Magnelli, un percorso tra opere che spaziano tra dipinti, disegni e collage e che consentiranno al visitatore di addentrarsi al meglio in un linguaggio espressivo tra i più originali e significativi dell’epoca. Al Museo Novecento ancora una volta diventa possibile scoprire o riscoprire figure che hanno segnato lo scenario artistico contemporaneo, grazie a un repertorio prezioso che abbiamo a disposizione nella nostra città”.
“All’inizio del mio mandato nel 2018, ho deciso per un progetto di valorizzazione delle opere delle collezioni civiche basato su speciali focus dedicati ai singoli artisti presenti nei depositi”, spiega Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento di Firenze. “Dopo Mario Mafai, Mirko Basaldella, Corrado Cagli, adesso è la volta di Alberto Magnelli, di cui il Comune di Firenze conserva il lascito direttamente ricevuto dall’artista di ben 15 capolavori, con opere rappresentative di tutte le fasi della sua carriera: dagli inizi figurativi, quando l’artista prendeva ispirazione dalla conoscenza dell’opera dei maestri francesi quali Matisse e altri, fino alle Esplosioni liriche, Le pietre e successivamente le opere astratte, cifra personale assoluta del linguaggio di Magnelli. Certo è che Magnelli è un maestro del colore, da qui la scelta del titolo che rievoca le sperimentazioni cromatiche che hanno coinvolto il mondo dell’arte dalla metà dell’Ottocento in poi”.
Toscano di nascita e francese di adozione, Alberto Magnelli (Firenze 1888 – Meudon 1971) ha contribuito in maniera determinante alla diffusione di nuovi codici visivi nell’Europa del secondo dopoguerra. Artefice di una lunga e incessante ricerca sul mezzo pittorico, a cavallo tra gli anni Dieci e gli anni Sessanta sviluppa un repertorio del tutto originale di forme e colori. Alla più volte ricordata formazione da autodidatta seguirà, negli anni della prima giovinezza, il confronto con le esperienze più innovative dell’arte internazionale, coltivato anche attraverso l’amicizia con i principali protagonisti della scena artistica e culturale parigina. Un posto speciale sarà, in tal senso, ricoperto da Jean Arp e dalla moglie Sophie, con i quali Magnelli condividerà importanti esperienze d’arte e di vita negli anni della Seconda guerra mondiale.
“Le opere in mostra, riunite per la prima volta dopo lungo tempo, si offrono ai nostri occhi come partiture cromatiche in grado di trasportarci in una dimensione altra, segnata da una musicalità sommessa e garbata, frutto di una calibrata definizione formale” commenta Eva Francioli, curatrice della mostra. “Proprio l’elegante orchestrazione di linee e colori ci offre pertanto una preziosa chiave per accedere all’universo pittorico di Alberto Magnelli: un universo fatto di infinite variazioni, crescendo improvvisi e delicate sospensioni, che si rivela oggi in tutta la sua urgente contemporaneità”.
La mostra consente di riscoprire la complessa parabola creativa dell’artista, a partire dall’esposizione dell’intero lascito destinato dallo stesso Magnelli, in punto di morte, alla propria città natale, Firenze. Esposto per la prima volta nel 1973 alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, il Legato Alberto Magnelli si compone di una serie di opere, tra dipinti, disegni e collage, realizzate tra il 1914 e il 1968.
Il nucleo è esemplificativo della grande varietà di stili e tecniche sperimentati dal pittore nel corso degli anni: dalle esperienze giovanili – in cui l’influsso della grande arte italiana del Tre e Quattrocento si combina alle suggestioni dell’avanguardia francese e alla passione per le linee primordiali dell’arte tribale – alle composizioni più mature, in cui Magnelli declina, con crescente consapevolezza, un personale linguaggio di tipo astratto.
Rimane costante, nella sua produzione, l’interesse per la componente cromatica e le sue infinite declinazioni. Proprio la complessa orchestrazione del colore costituisce la chiave di accesso alla conoscenza di questo grande maestro: un’armonizzazione sofisticata e mai scontata, in grado di veicolare le diverse fasi artistiche ed esistenziali attraversate da Alberto Magnelli nel corso della sua lunga ed entusiasmante carriera.
Alberto Magnelli nasce a Firenze nel 1888. Nel 1907 avviene il suo primo incontro con la pittura e già nel 1909 partecipa alla VIII Biennale di Venezia.
Inizialmente influenzato dalle rigide armonie dell’arte e dell’architettura toscana del Tre e Quattrocento, Magnelli scopre la pittura di Gustav Klimt. Nel 1914 si reca a Parigi assieme al poeta Aldo Palazzeschi, suo amico dall’infanzia, con il quale prende in affitto uno studio in rue de la Grande-Chaumière. Qui l’artista ha l’opportunità di conoscere direttamente i pittori e gli scrittori che gravitano attorno ad Apollinaire e a “Les Soirées de Paris”. Frequenta sia gli italiani Papini, Soffici, Palazzeschi, Boccioni, Carrà, che personalità come Picasso, Léger, Jacob. Nel maggio dello stesso anno rientra in Italia, avendo in proposito di tornare in autunno a Parigi ma, impossibilitato dallo scoppio della guerra, trascorre il proprio tempo tra Firenze e Viareggio ed intrattiene una fitta corrispondenza con Apollinaire, che diventerà suo grande amico.
Dopo le esplosioni cromatiche e le aperture all’astrattismo degli anni della guerra, la pittura di Magnelli evolve verso un ritorno alla figurazione e al classicismo, sempre comunque segnato da una collocazione del tutto autonoma rispetto ai raggruppamenti ufficiali. Opponendosi alle tesi fasciste, Magnelli si ritrova sempre più isolato. Nell’ aprile 1939 Peggy Guggenheim invita Magnelli a partecipare alla mostra Abstract Concrete Art.
Nella primavera 1944 partecipa con Domela, Kandinskij e De Staël alla mostra Peintures abstraites/Compositions de matières alla Galerie L’Esquisse.
Partecipa alla Biennale di Venezia, nel 1950, con una sala personale, in cui riunisce diciotto dipinti realizzati tra il 1914 e il 1948. Nella stessa Biennale viene presentata una retrospettiva di Kandinskij, che Magnelli ha curato assieme a Nina Kandinskij.
Gli anni Cinquanta e Sessanta segnano la definitiva consacrazione di Alberto Magnelli con importanti esposizioni tra le quali Biennale di San Paolo del 1951, la retrospettiva dedicatagli nel 1954 al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, la Documenta di Kassel del 1955 e nel maggio 1963, la retrospettiva alla Kunsthaus di Zurigo.
Alberto Magnelli muore il 20 aprile 1971

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Redazione
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