Arcobelli (Cgie-Ctim): la cittadinanza italiana è un “diritto personale ed assoluto”

DALLAS- “Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno pubblicato in data 24 agosto 2022 due importanti sentenze (n. 25317 e n. 25318), entrambe aventi ad oggetto la materia della cittadinanza italiana per diritto di sangue”. Ne dà notizia Vincenzo Arcobelli, Consigliere del Cgie e Presidente del Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo (CTIM), che definisce le due pronunce “epocali”.
In esse, spiega, “la Suprema Corte afferma che l’ordinamento italiano ha da sempre previsto delle fattispecie di perdita della cittadinanza che implicano comportamenti “attivi” e “volontari” non assegnando alcun significato, dunque, alle presunzioni semplici e generiche”.
“In sostanza, – continua Arcobelli – per gli ermellini, qualora si dimostri di avere un ascendente italiano (con il solo limite che questi sia deceduto dopo la proclamazione del Regno d’Italia e che non abbia mai perso in vita la cittadinanza italiana), è possibile ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis anche a distanza di molti anni e di molte generazioni”.
“Finalmente – commenta il consigliere Cgie – si pone una soluzione – disertata per troppo tempo dalla politica – a decenni di tribolazioni sofferte dai cittadini richiedenti il riconoscimento, non solo sul piano delle lungaggini e delle interpretazioni amministrative ma anche e soprattutto per l’assunzione dei costi giudiziari per l’affermazione di un diritto assoluto su cui il Comitato Tricolore ha sempre creduto, voluto e riaffermato anche nel mese di maggio 2022 con un documento votato all’unanimità, durante i lavori assembleari e del dipartimento Italiani nel mondo di Fratelli d’Italia a Milano”.
“Peraltro, – annota Arcobelli – quanto sopra rafforzerebbe la richiesta della riapertura dei termini di riacquisto della cittadinanza per coloro che l’hanno perduta non per scelta, ma in assenza di convenzione sulla doppia cittadinanza, tramite l’inserimento dell’art. 13 al decreto Milleproroghe presentato da FDI e che porta la prima firma quella del Segretario Generale del Comitato Tricolore, senatore Roberto Menia”.
“Credo – conclude Arcobelli – che dopo la sentenza della Corte di Cassazione siamo giunti ad una svolta epocale per i diritti dei nostri connazionali sia dal punto di vista giuridico, che auspicabilmente, legislativo. Non molleremo per la loro tutela”.
La sentenza, pubblicata sulla rivista “Foro italiano”, riguarda due richieste di cittadinanza di altrettanti cittadini brasiliani, discendenti di un italiano emigrato ai tempi della cosiddetta “grande naturalizzazione”.
Tre i punti stabiliti dalla Cassazione che qui riportiamo.
Il primo. “Posto che la cittadinanza italiana per fatto di nascita si acquista a titolo originario iure sanguinis e lo status di cittadino, una volta acquisito, si rivela permanente, imprescrittibile e rivendicabile in qualsiasi momento, chiunque abbia un interesse ad ottenere la cittadinanza è tenuto a dare prova del solo fatto acquisitivo e della linea di trasmissione; al contrario, incombe alla controparte, che ne abbia fatto eccezione, dimostrare l’eventuale esistenza di una fattispecie interruttiva della linea di trasmissione iure sanguinis risalente all’avo”.
Il secondo. “La perdita della cittadinanza, come delineata dal codice civile del 1865 e dalla successiva l. n. 555 del 1912 in relazione alla c.d. “grande naturalizzazione” degli stranieri operata in Brasile alla fine dell’ottocento, implica l’accertamento di un atto spontaneo e volontario finalizzato all’acquisto della cittadinanza straniera, non ritenendosi sufficiente per l’interruzione della linea di trasmissione iure sanguinis ai discendenti l’accettazione tacita degli effetti di un provvedimento straniero; la volontà abdicativa alla cittadinanza originaria italiana deve essere manifestata con comportamenti in forma espressa”.
Il terzo. “La perdita della cittadinanza italiana per l’accettazione di un impiego da parte di un governo estero, senza permissione del governo italiano, deve essere intesa, sia nell’art. 11, n. 3, della previsione codicistica del 1865, sia nell’art. 8 l. n. 555 del 1912, con riguardo agli impieghi governativi di natura stabile e tendenzialmente definitiva, che abbiano come conseguenza l’assunzione di pubbliche funzioni all’estero tali da imporre obblighi di gerarchia e fedeltà verso lo Stato straniero”. (aise)

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Redazione
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