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Il ridicolo IN ITALIA degli “ordini professionali” ..Upsss!
Questa è una questione annosa in Italia e riguarda il ruolo degli Ordini Professionali nel sistema lavorativo. Il punto è stato oggetto di dibattito per anni: da una parte, gli Ordini affermano di garantire qualità, etica e tutela del cliente, dall’altra c’è chi li considera corporazioni obsolete che limitano l’accesso al lavoro e creano barriere inutili. Be ma se esistono ancora …vuol dire qualcosa no?
Perché esistono gli Ordini?
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Storicamente, si dice che servano per regolare la qualità e la deontologia di alcune professioni delicate (medici, avvocati, ingegneri, ecc.).
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Vengono giustificati come strumenti di tutela dei cittadini, evitando che persone incompetenti esercitino professioni che potrebbero arrecare danni. ( giá…un tipetto decide se anni di universitá e decine di professionsti che insegnano professionalmente e in una cerimonia della tesi ed esame di laurea , un tipetto decide se quelnuovo avvocato o medico puó o meno esercitare?)
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Servono a mantenere standard uniformi nella professione e garantire aggiornamento continuo.
Le critiche agli Ordini
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Impongono un doppio filtro: prima l’università e poi l’abilitazione all’Ordine, rendendo più difficile l’ingresso nel mondo del lavoro. Rendendo funzionale l ingresso attraverso un controllo diretto e non in mano alle UNIVRSITÁ difficili da controlllare..MOLTO DIFFICILI
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Spesso funzionano più come lobby di potere che difendono gli interessi dei membri già iscritti piuttosto che favorire la concorrenza e il merito.
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In alcuni casi sono residui corporativi che esistono solo in Italia o in pochi altri paesi.
Soluzioni possibili
Alcuni suggeriscono di:
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Eliminare alcuni Ordini e sostituirli con registri professionali volontari o certificazioni di qualità.
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Riconoscere il titolo universitario come sufficiente per esercitare la professione, senza passare per gli Ordini.
Di questa “assurdità”, se ne parla eccome, ma il problema è che molte riforme in Italia si arenano per motivi politici e di interessi consolidati. Ci sono state diverse proposte per abolire o ridurre il peso degli Ordini, ma nessuna ha avuto un impatto concreto fino ad oggi.
Iniziative politiche:
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Nel luglio 2010, il senatore Raffaele Lauro del Popolo della Libertà (PdL) ha presentato un disegno di legge costituzionale per abolire tutti gli ordini professionali e l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale. Lauro ha motivato la proposta sostenendo che gli ordini si erano trasformati in corporazioni che difendevano privilegi acquisiti, ostacolando la concorrenza e lo sviluppo economico. Confprofessioni
Petizioni e iniziative popolari:
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Nel 2016, il “Comitato Professioni Tecniche” ha lanciato una petizione su Change.org per l’abolizione degli ordini professionali degli ingegneri e degli architetti, proponendo la creazione di un Albo Unico Nazionale gestito dal Ministero della Giustizia. Change.org
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Nel 2017, un’altra petizione su Change.org ha chiesto l’abolizione degli ordini professionali in Italia, evidenziando come questi ostacolassero la concorrenza e l’accesso alle professioni.
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Nel 2022, è stata promossa una petizione per l’abolizione degli ordini delle professioni sanitarie, criticando la gestione degli ordini in casi specifici. Change.org
Reazioni degli ordini professionali:
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Le proposte di abolizione hanno incontrato l’opposizione di vari ordini professionali. Ad esempio, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (Fnomceo) ha sottolineato l’importanza degli ordini come garanti dei diritti dei cittadini, affermando che rappresentano comunità professionali che condividono principi e valori a tutela della collettività. mi permetterete ridere vero...
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Analogamente, rappresentanti di ingegneri e commercialisti hanno espresso contrarietà all’abolizione, evidenziando la necessità di riformare piuttosto che eliminare gli ordini per garantire la qualità delle prestazioni professionali. Il Gattopardo “tutto cambia perché nulla cambi”
In sintesi, la discussione sull’abolizione degli ordini professionali in Italia è stata animata da iniziative legislative e petizioni popolari, ma ha incontrato una forte resistenza da parte delle stesse istituzioni professionali, che ne difendono il ruolo nella tutela della qualità e dell’etica delle professioni.
L’idea che lo Stato debba essere il garante della qualità e della deontologia professionale, piuttosto che un gruppo di persone organizzate in un ordine. Questo argomento viene spesso usato da chi è contrario agli Ordini, e si basa su alcuni principi:
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Lo Stato già rilascia i titoli di studio, quindi non ha senso un ulteriore filtro di un ente privato o semi-privato.
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Esistono già leggi nazionali che regolano la condotta professionale (ad esempio, il codice penale punisce la negligenza medica o l’esercizio abusivo della professione).
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Le ispezioni e i controlli dovrebbero spettare ad autorità pubbliche, come Ministeri o Agenzie indipendenti, anziché a gruppi autoreferenziali.
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La concorrenza migliora la qualità, mentre le corporazioni tendono a difendere il proprio monopolio a scapito dell’innovazione e del merito.
Alternative agli Ordini Professionali
In diversi Paesi, invece degli Ordini, esistono registri professionali volontari o certificazioni statali che garantiscono la qualità senza creare barriere all’ingresso. Ad esempio:
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Nel Regno Unito e negli USA, molte professioni funzionano con associazioni di categoria, che danno certificazioni ma non impediscono a chi ha un titolo di operare.
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In Francia e Germania esistono regolamentazioni statali, ma senza l’eccessiva burocrazia degli Ordini italiani.
Quindi, perché il controllo deve essere affidato a un gruppo di persone invece che direttamente dallo Stato?
Il problema è che gli Ordini sono istituzioni radicate in Italia, con forti legami politici e istituzionali. Per riformare il sistema servirebbe una volontà politica chiara, che finora è sempre mancata.
Esatto, è proprio questa la critica principale agli Ordini: invece di essere strumenti di tutela per i cittadini, spesso diventano lobby di potere che proteggono gli interessi dei loro membri, limitando l’accesso alle professioni e mantenendo privilegi consolidati.
Problemi principali degli Ordini in Italia
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Barriere all’accesso → Anche dopo anni di studio e lauree, serve un esame di Stato o un’abilitazione per entrare nell’Ordine, spesso con costi elevati e procedure lente.
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Mancanza di meritocrazia → Non sempre chi è più bravo ottiene spazio, perché gli Ordini tendono a proteggere chi è già dentro, invece di favorire la concorrenza.
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Vincoli eccessivi → In molti settori, gli Ordini impongono tariffe minime, limitano la pubblicità e regolano rigidamente l’attività, rendendo più difficile innovare o distinguersi sul mercato.
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Ruolo ambiguo → Da un lato dicono di tutelare i cittadini, ma spesso difendono i propri iscritti anche in casi di errori o negligenze, rendendo difficile la responsabilizzazione.
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Conflitti di interesse → Alcuni Ordini gestiscono direttamente corsi di formazione obbligatori per i loro iscritti, creando un business interno invece di garantire un aggiornamento libero e competitivo.
Chi ci guadagna?
Chi è già dentro all’Ordine ha tutto l’interesse a mantenere lo status quo: meno concorrenza significa più potere e più opportunità di lavoro per chi è iscritto.
Quindi sì, sembra proprio un “gruppo” (o meglio, una corporazione) che fa gli interessi dei suoi membri, più che della società nel suo insieme.
Si può cambiare qualcosa?
La soluzione sarebbe una riforma che elimini gli Ordini o almeno riduca il loro potere, lasciando che sia il mercato e lo Stato a garantire la qualità professionale, come accade in altri Paesi. Ma finché chi ha il potere di cambiare le cose ne trae vantaggio, difficilmente vedremo una vera trasformazione.
NON só se sará possibile. Ma io almeno lo dico. e tu?