“Immaginare cose non viste”: l’omaggio della GNAM di Roma a Domenico Morelli

ROMA- La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma ospita sino al 29 gennaio 2023 la mostra “Domenico Morelli. Immaginare cose non viste”, inaugurata lo scorso 21 novembre a cura di Chiara Stefani e Luisa Martorelli.
“Morelli era come il vero artista deve essere, cioè egli sapeva quello che non sapeva, e vedeva ciò che non aveva mai visto”. Così il pittore Eduardo Dalbono lo ricordava poco dopo la sua morte, evocando Le tentazioni di Sant’Antonio come esempio magistrale delle facoltà “intuitive e divinatrici” dell’artista.
A quasi settant’anni dalla mostra di disegni allestita nel 1955 da Palma Bucarelli a Valle Giulia, Domenico Morelli (Napoli, 1823–1901) torna ad essere protagonista nelle sale Via Gramsci della Galleria Nazionale, come già lo era stato nel 1907. Era appena stato trasferito, da Napoli a Roma, il fondo costituito da opere grafiche, cartoni, bozzetti e dipinti rimasti nell’atelier dell’artista alla sua morte e acquistato dallo Stato: Francesco Jacovacci, allora direttore della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, lo aveva parzialmente allestito all’interno di quattro sale di Palazzo delle Belle Arti a via Nazionale.
La mostra è l’occasione per ammirare un’ampia parte del ricchissimo ed eterogeneo fondo dell’artista insieme ad opere provenienti anche da altre istituzioni pubbliche o da collezioni private, con l’esposizione di una trentina di dipinti e nove bozzetti, nove sculture, un corpus di 48 tavolette a olio su legno con dipinti di paesaggio realizzati nella costa a sud di Napoli, un grande cartone a tecnica mista e una cospicua selezione di 160 opere su carta, tra gli oltre 800 fogli appartenenti al fondo Morelli conservato dalla Galleria Nazionale.
La gestazione dei dipinti di Domenico Morelli è un processo di continuo ripensamento delle soluzioni compositive ideate dopo un attento studio sul Vero, i cui singoli elementi vengono analizzati più volte, prima di raggiungere la versione ritenuta ottimale. Mentre il ventaglio di tecniche impiegate dall’artista su carta spazia dall’uso di grafite, carboncino, sanguigna e pastello – accompagnati in vari casi da lumeggiature a biacca, nonché dall’inchiostro bruno, spesso abbondantemente acquarellato – all’acquerello e alla tempera in varie tonalità, talvolta su tracce di matita, i bozzetti annullano nel colore l’attento studio grafico di ogni foglio ad essi preparatorio.
Per la prima volta dall’inizio del secolo scorso, viene mostrata al pubblico la tela del dipinto incompiuto Il trovatore tra le monache, ambita a suo tempo dal mercante francese Jean-Baptiste Michel Adolphe Goupil e oggetto di un apposito intervento conservativo da parte degli allievi dell’Istituto Centrale per il Restauro. Dopo la pulitura, le preziose cornici dei dipinti appaiono nella varietà delle loro tecniche: intagliate e decorate a foglia di oro zecchino e argento meccato, a cui era stata aggiunta, in un caso particolare, l’applicazione di una striscia di tessuto sulla superficie lignea.
Una serie di sculture in marmo, bronzo e terracotta di artisti dell’epoca – quali Alfonso Balzico, Adriano Cecioni, Giovanni Focardi, Giacomo Ginotti, Achille D’Orsi, Vincenzo Gemito, Domenico Trentacoste, Giuseppe Renda, Mario Rutelli – è messa in rapporto con i dipinti di Morelli attestandone, in alcuni casi, l’influenza. Varie opere su tela di altri pittori – Gioacchino Toma, Eduardo Dalbono, Achille Talarico, Gaetano Previati, Paolo Vetri -, e un pastello di Francesco Paolo Michetti, dialogano con le soluzioni compositive di Morelli. Il dipinto La leggenda delle sirene di Dalbono viene esposto per la prima volta a fianco della replica di collezione privata che presenta un’interessante variante nella tavolozza dello sfondo.
Dall’introspezione psicologica dei ritratti e dalle figure desunte dalla letteratura romantica europea – Il conte Lara, Lady Godiva, Torquato Tasso legge la Gerusalemme Liberata a Eleonora d’Este – alle sofferte meditazioni su motivi legati alla religione cristiana – Gli ossessi, Il cadavere di Santa Maria Egiziaca rinvenuto dagli angeli, e I Monaci (o Venerdì Santo) –, Morelli passa alle ariose composizioni avvolte in un’aura di silenzioso mistero delle tele dell’ultimo decennio del XIX secolo: il Cristo nel deserto, il Pater Noster (o Il discorso della montagna) e Gli amori degli angeli. Nel frattempo, le soluzioni sempre più pittoriche di alcune opere grafiche documentano come il suo sguardo si indirizzi progressivamente verso l’Oriente, dove Morelli non si recò mai, manifestando un particolare interesse per i suoi costumi e per le pratiche legate alla religione mussulmana.
Il dipinto con l’Imbalsamazione di Cristo anticipa, verso la fine del settimo decennio dell’Ottocento, gli scenari aridi e desolati de Le Marie che da lontano assistono alla crocifissione di Gesù (1898 ca.), del Giuda vede Cristo arrestato a Getsemani (1900) e del Cristo che veglia gli apostoli (1900): metafore della debolezza fisica e della solitudine umana, oltre che prefigurazioni di una condizione esistenziale contemporanea.
Domenico Morelli (Napoli 1823–1901) muove i primi passi al Real Istituto di Belle Arti e nel 1844, conseguendo il primo premio nel concorso di pittura con Virgilio comanda a Dante di inginocchiarsi appena che conobbe l’angelo che guidava la navicella colle anime del Purgatorio (Napoli, Prefettura), esposto alla Biennale borbonica del 1845. Dopo aver ottenuto il pensionato a Roma entra in relazione con l’ambiente artistico della capitale pontificia. Nell’Urbe può finalmente studiare la statuaria classica. Al ritorno a Napoli nel 1848 dipinge Goffredo e l’Angelo (Napoli, Accademia di belle Arti), tema obbligato grazie al quale ottiene il secondo posto del pensionato, ma senza poter raggiungere Roma a causa degli avvenimenti del Quarantotto.
Raggiunge segretamente Firenze solo nel 1851 dove sono esiliati Altamura e Villari, dopo aver terminato Un neofita (1850; Napoli, Museo di Capodimonte), saggio per il primo anno di pensionato e vi ritorna nel 1853, incominciando a preparare la complessa scena del Cesare Borgia a Capua (Palermo, collezione privata), ispirato alla Storia d’Italia di Guicciardini. Intraprende poi un viaggio a Genova, a Milano, a Venezia e di nuovo a Roma, dove soggiorna nel 1852 e nel 1854.
La produzione tra il 1845 e il 1855 è improntata allo studio delle fonti letterarie del passato (Dante, Tasso, Shakespeare), ma anche alla letteratura di Manzoni, agli scritti di Scott, Moore e Byron e alla poetica di Leopardi, i cui testi gli sono suggeriti da Pasquale Villari, formatosi alla scuola di Francesco De Sanctis. Dalle letture byroniane, trae ispirazione l’opera i Corsari greci sulla spiaggia, esposta alla biennale borbonica del 1848. Negli anni 1851–55, lavora ai temi dei “martiri” – dal Neofita a I martiri cristiani condotti al supplizio (1851), a I martiri cristiani portati dagli angeli (1855) –, prove per il secondo e per il quarto anno di pensionato, in cui ancora traspare un modello di purismo lineare di eredità nazarena.
Punto di svolta è il celebre dipinto Gli iconoclasti (Napoli, Museo e Real Bosco di di Capodimonte) in cui si comprende bene la celebre affermazione del Morelli: «rappresentar figure e cose, non viste, ma vere ed immaginate all’un tempo», segnando una nuova poetica della storia da interpretare come verità dei fatti rappresentati. Quando il re Ferdinando II si soffermò ad ammirarlo durante la visita alla Esposizione borbonica del 1855, dubbioso del suo significato, lo ammonì con una frase: «Nun fa’ a pittura cu certe penziere a’ dinto!», intuendo la fede liberale del pittore.
Il 10 marzo 1853 Morelli sposa Virginia Villari, da cui ha otto figli. Si stringe allora in sodalizio con Pasquale Villari, storico e filosofo napoletano. Intorno al 1854 lavora alla decorazione della chiesa di S. Francesco a Gaeta (opera incompiuta ma i cui bozzetti sono conservati alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma) e agli affreschi della cappella neobizantina di palazzo Nunziante a Napoli (1856-59), dove trova pieno compimento il processo di rivisitazione del Medioevo condotto da Errico Alvino, architetto con il quale avrebbe collaborato dieci anni dopo per la realizzazione della Culla del principe (Caserta, Palazzo reale).
Dopo il 1855 Morelli compie un viaggio d’istruzione per le principali capitali dell’arte (Monaco, Berlino, Bruxelles, Londra, Parigi) in compagnia di Giuseppe Tipaldi e nel 1856, si stabilisce per un anno a Firenze con Bernardo Celentano, con la sola interruzione di una breve sortita a Venezia e a Verona. L’impatto con il cromatismo veneto, componente fondamentale della tradizione artistica italiana, ispira I freschi veneziani (Roma, collezione privata), presentato alla prima Nazionale di Firenze del 1861 insieme al Bagno pompeiano, acquistato dal banchiere svizzero Giovanni Vonwiller. A partire dal 1863, insieme a Federico Maldarelli, dirige il progetto di revisione delle collezioni d’arte moderna nella Reggia di Capodimonte. Tra gli incarichi avuti dai Savoia esegue l’Assunta (1863–1866) per il soffitto della cappella del Palazzo reale di Napoli, segnando un momento di evoluzione formale, secondo una cifra stilistica incline ad una tavolozza più chiara.
Per gli sviluppi della sua arte fu determinante l’amicizia con Giuseppe Verdi, con cui l’artista entra in sintonia, diventando il suo principale consulente. I Vespri siciliani, prima redazione, del 1859 (Napoli, Museo di Capodimonte) e, seconda redazione del 1864–67 (collezione privata), dal romanzo di Michele Amari (1842) e ispirati al libretto di E. Scribe, sono frutto della stretta relazione con Verdi per le soluzioni scenografiche finali. La Cacciata dei saraceni da Salerno ideata per il sipario del teatro Verdi di Salerno ha la stessa matrice d’ispirazione.
Nella pittura di Morelli, l’interpretazione dei i temi mariani declina in un’intonazione originale, non più di natura devozionale ma intima e familiare, dove la figura centrale della protagonista veste i panni di una madre vera. Le immagini di culto mariano della Salve Regina o La Vergine delle Rose (1872) per la cappella del barone Compagna a Corigliano Calabro sono così formulate come pure la Madonna della Scala d’oro, replicata in una seconda versione inviata in America tramite Goupil, prototipo di molte riproduzioni del
XX secolo, a carattere devozionale.
Si rivela fatale per Morelli l’incontro con Mariano Fortuny a Napoli tra il 1873 e il 1874. A quel tempo è in primo piano la riscoperta dell’arte giapponese con i suoi motivi decorativi e le sue cromie, l’uso della biacca che fa nascere “quell’impero del bianco” che conterà su prodigiosi artisti napoletani (Michetti, Campriani,
Di Chirico, Dalbono…). Per questa «arte di moda» il Morelli non fu esente dalle critiche ed un’invettiva di Adriano Cecioni gli fu mossa contro Le tentazioni di Sant’Antonio (1878), grande capolavoro e prova tra le più difficili della carriera di Morelli, scarsamente recepito dai contemporanei.
A partire dal 1868 Morelli rientra all’Istituto di Belle Arti di Napoli, per occupare la cattedra di pittura dedicandosi, in collaborazione con Filippo Palizzi, alla riforma della scuola allo scopo di migliorare i modelli didattici e garantire una adeguata formazione artistica. Sulla scia dei rinnovamenti dell’Europa, nel 1882 fu istituito anche Napoli il Museo Artistico Industriale, con l’intento di istruire e dare formazione utile nel campo tecnico industriale e al fianco di Palizzi, Morelli creò la Società Promotrice di Belle Arti, per dare sostegno ai giovani artisti.
Negli anni di maturità la sua pittura verte sui temi religiosi, secondo un rigoroso approccio di ricerca dei testi, dalle fonti e leggende del cristianesimo, alle teorie positiviste di Ernest Renan e di David-Friedrich Strauss sulla figura di Gesù. Il tema evangelico e cristologico, inaugurato negli anni Sessanta con il Cristo che cammina sulle acque (1866–1867) assorbe la quasi totalità della più tarda produzione, rinnovandosi con un’ambientazione fortemente evocativa. Gran parte del nucleo conservato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma è di questa natura.
Tra il 1895 e il 1899 è impegnato alla realizzazione dei disegni per le tavole della cosiddetta Bibbia di Amsterdam (dalla città in cui aveva sede la società che promosse l’opera) che coinvolge ventisei artisti tra i più famosi d’Europa. Il piano editoriale prevedeva 100 tavole a illustrazione di un volume, di grande formato, da pubblicarsi a dispense e in più edizioni. I disegni furono incisi dall’editrice parigina Lemercier ed esposti a Londra nel 1901: ma Morelli non riuscì a vedere l’esemplare che gli era stato inviato, perché stroncato da una malattia al cuore il 13 agosto 1901. (aise)

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Redazione
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